VIAREGGIO. Fenomeno sociale o ristorazione parallela per aggirare il fisco? Questo il dilemma degli home restaurant (o social eating), novità di questi ultimissimi anni che anche in Versilia si sta lentamente diffondendo. Si tratta di padroni di casa che si trasformano in chef e invitano poche persone a mangiare da loro spendendo pochissimo.

C’è chi lo fa per socializzare e chi perché ha la passione per i fornelli da condividere con i turisti e chi lo vede come una possibilità di integrare il proprio reddito. Basta avere una cucina, quella di casa va benissimo; un po’ di posto per ospitare gli ospiti, pochi perché è pur sempre una casa. Non servono autorizzazioni del Comune o dell’Asl, perché chi ha un home restaurant non svolge una’attività di ristorazione con somministrazione di alimenti e bevande, ma semplicemente invita amici o persone trovate su internet a consumare nella propria casa in cambio di un piccolo compenso.

Piccolo compenso perché questa “pratica dell’ospitare” non può eccedere i 5000 euro annui di ricavi. “Ma se il fenomeno sociale diventa un modo per aggirare il fisco o peggio ancora concorrenza sleale – spiega Esmeralda Giampaoli nella duplice viste di presidente Confesercenti Versilia e presidente nazionale Fiepet (il sindacato pubblici esercizi di Confesercenti) – bisogno di tracciare una linea di demarcazione chiara. Le nuove tecnologie e la condivisione sono una cosa meravigliosa, ma si corre il rischio di aprire la porta ad una ristorazione parallela, fatta da imprese irregolari che esercitano al di fuori di ogni controllo.

Per questo, come Fiepet, stiamo lavorando ad una proposta di regolamentazione del fenomeno, che presenteremo presto nelle sedi opportune”. Insiste Giampaoli: “Ad ispirare gli home restaurant sono stati principi di condivisione e di risparmio: privati che mettono a disposizione di altri privati un posto a tavola, nella propria casa, chiedendo un contributo irrisorio per coprire le spese.

Il social eating si è però rapidamente trasformato in un’industria alternativa, spinto dal fascino dei superchef televisivi e dal marketing delle tante piattaforme web che fanno affari d’oro mettendo in contatto gli aspiranti cuochi con i potenziali clienti. Ma tra cene gourmet e ‘non professionisti’ che chiedono 40-50 euro a pasto per persona, mi chiedo quanto sia rimasto dell’ispirazione originaria. Il sospetto – conclude la presidente – è che tra gli home restaurant si celi un mondo sommerso di imprese irregolari che fanno attività di somministrazione parallela senza rispettare le norme che devono rispettare gli altri.

Concorrenza sleale, a tutti gli effetti, che crea una distorsione del mercato ai danni delle imprese in regola che investono tempo e denaro per avere requisiti e tutte le certificazioni, a partire da quelle igienico-sanitarie, che la legge richiede a ristoratori e pubblici esercizi per tutelare la salute e la sicurezza del consumatore. Si tratta di un interesse collettivo, che deve essere tutelato anche dagli home restaurant del web.”

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ultimo aggiornamento: 23-04-2015


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